Cobas Poste – Welfare Aziendale: il salario perduto e la fine dello stato sociale

Ultimamente è tornata in auge la questione della pensione complementare, dei fondi pensione, in quanto i sindacati, con l’avallo della politica, stanno cercando di renderla obbligatoria per legge. In passato il sindacalismo di base, anche alle poste, hanno fatto una campagna contro i fondi pensione e a favore del mantenimento del TFR in azienda che dà luogo ad interessi certi ogni anno, mentre i fondi pensione soggetti alle leggi del mercato finanziario, alle obbligazioni non danno, né davano, la certezza di una rivalutazione reale e concreta.

2 anni fa , una trasmissione di la7 pubblicò  un servizio dal titolo “ecco chi ci guadagna sui vostri fondi pensione”,dove si indagò  su gli stessi e sul fatto che i sindacati stavano  diventando veri e propri imprenditori finanziari, investitori di borsa nei mercati finanziari mondiali. I consigli di amministrazione di questi fondi, gestiti al 50% dalle associazioni datoriali e dai sindacati concertativi, amministrano, sempre secondo questa trasmissione, circa 43 miliardi di euro di risparmi dei lavoratori. Sono i fondi di previdenza complementare finanziati con i contributi dei lavoratori. Ma per  i sindacati,  nonostante  l’enorme quantità di denaro da amministrare, non bastava poichè l’adesione risultava comunque limitata, solo il 24% dei lavoratori avevano scelto i fondi, tant’è che hanno pensato bene di obbligarli a farlo.

Apripista in questo senso (aprile 2017) il rinnovo contrattuale degli autoferrotranvieri  dove 90 euro l’anno vengono destinate obbligatoriamente ai fondi pensione (fondo Priamo) sottraendoli agli aumenti contrattuali (meno salario più fondi pensione). Un approccio in tal senso si ebbe anche in poste col verbale di accordo del 19 luglio 2017, tra azienda e sindacati concertativi, dove fu prevista la facoltà , del dipendente postale, di destinare parte o tutto il premio di risultato a fondo poste o altri fondi pensionistici complementari. Tutti i più recenti rinnovi contrattuali mostrano questa tendenza. Non è stato da meno il nostro precedente contratto   che ha destinato euro 12,50 per il piano sanitario + euro 8,00 per il fondo pensione in sostituzione dell’equivalente aumento salariale. Questo dei fondi complementari, dell’assicurazione sanitaria fanno parte del fenomeno più complesso e articolato denominato WELFARE AZIENDALE, che altro non è che la progressiva distruzione dello stato sociale e del suo principio egualitario, quale elemento fondamentale per affrontare dignitosamente il vivere quotidiano.

 Ora grazie all’accordo interconfederale sulla contrattazione collettiva, vedremo sempre più soldi sottratti al salario per sostenere la crescita del welfare aziendale, con la progressiva sostituzione di una  gestione privatistica di servizi che dovrebbe invece  garantire lo Stato (Welfare state) in cambio delle tasse che paghiamo, servizi minimi, vitali per tutti , necessari ad una esistenza dignitosa, che tendono ad attenuare le disuguaglianze sociali e che invece  ci vengono sottratti con lo smantellamento funzionale agli interessi dei privati che ad esso si sostituiscono.

Queste le scelte più eclatanti, in senso negativo, di come sono stati utilizzati in passato questi fondi:

– Enasarco (fondo agenti commercio) che ha acquistato un derivato finanziario per 780 milioni di euro dalla banca americana  Lehman Brothers, fallita nel 2008, che ha comportato una perdita di mezzo miliardo di euro

Fondo complementare Casella, dedicato ai poligrafici, che negli ultimi 10 anni ha perso 110 milioni di euro e ha praticamente dimezzato le prestazioni ai suoi scritti.

Queste sono le rappresentazioni più evidenti dei rischi per i lavoratori in mano a questi “neofiti della finanza”.

È chiaro che al sindacato e ai datori di lavoro conviene gestire questa  enorme quantità di denaro mentre i lavoratori sono chiamati solo a finanziare con il proprio lavoro queste attività speculative, i primi ci guadagnano senza di fatto rischiare nulla, i lavoratori invece rischiano i propri soldi, i propri aumenti contrattuali, senza avere nessuna partecipazione diretta..

A novembre di quest’anno insieme alla  busta paga  abbiamo ricevuto un modulo da  inviare per rinunciare all’adesione  automatica del pacchetto base previsto dal piano sanitario (accordo 8 maggio 2019). In tanti non hanno dato  importanza a questa comunicazione, pensando che  i 12,50  euro  fossero un “ regalo aziendale” ,  ma come ripetuto più volte  questi euro sono i nostri  aumenti  salariali, che  anche nel nuovo contratto  ci saranno sottratti  dal salario reale. Sarebbe quantomeno  giusto avere l’opportunità di scelta di percepirli  in busta paga , di non perderli, per chi non vuole aderire. Chiaramente si guardano bene da dare questa opzione di scelta nella paura di avere, in questo modo, irrisorie adesioni dal momento che quelle che si trovano ad amministrare profittevolmente per se stessi  non sono piccole cifre, ma moltiplicate  per migliaia di dipendenti,  sono  milioni di euro, soldi nostri, che finiranno nel calderone  gestito da azienda e sindacato, i soli che di sicuro ne  beneficeranno. 

Ed allora questa diviene di fatto una battaglia non solo per rivendicare aumenti reali in busta paga, ma per rimettere al centro il Welfare State, lo Stato Sociale, i Servizi Pubblici Essenziali per un loro miglioramento,  a misura dei cittadini ed uguali per tutti e tra questi anche il Servizio Pubblico Postale. Questa è una battaglia di civiltà.

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