Abbiamo sempre sostenuto, nel corso della nostra storia sindacale, che uno dei primi nemici dei lavoratori e delle lavoratrici del settore delle Telecomunicazioni fosse il PARTITO DEMOCRATICO. Certò quando cominciammo questa epopea, nel lontano 1993, il PD si chiamava in un altro modo, ma insieme ai SINDACATI CONCERTATIVI (SLC-FISTEL-UILCOM) , ci regalava perle di assoluto valore, fra queste gli accordi Telecom del 2000 con cui si dava il via al calvario delle esternalizzazioni o la Circolare 17 del 14 Giugno 2006 con cui il MINISTRO DAMIANO annullava le ispezioni dell’INPS sui precari, dando il via alle stabilizzazioni dei precari e abbonando a TRIPI – AD di ALMAVIVA e finanziatore della campagna elettorale di Prodi – le sanzioni contributive.
Questa intervista al responsabile Economia del Partito Democratico, conferma tutta la nostra avversione.
Call center, Taddei: “Con il Jobs Act più tutele e più produttività”
L’INTERVISTA
Il responsabile Economia del Pd: “Per il governo il contratto a tutele crescenti resta il principio cardine anche per i lavoratori outbound. I co.co.pro opzione lasciata alle responsabilità delle parti sociali” di Federica Meta
Il governo aveva promesso di eliminare tout court i co.co.pro. e invece li ha mantenuti per i lavoratori dei call center outbound…
Prima di tutto il governo non ha fatto questa scelta pensando ai call center, nello specifico. Si tratta di una decisione presa per rispondere a specifiche esigenze settoriali dove, non necessariamente e non sempre, il lavoro dipendente si rivela una scelta efficace per il datore di lavoro e per il lavoratore. Nel caso dei call center outbound queste esigenze nascono dal fatto che le attività svolte sono legate a commesse di breve durata e remunerate a fronte dei risultati ottenuti. Una condizione che non sempre si concilia con la formula del lavoro subordinato, eterorganizzato nello spazio e nel tempo, che è il principio fondante del contratto a tempo indeterminato o a tutele crescenti.
Ma questa decisione non rischia di frenare la diffusione del contratto a tutele crescenti nei call center, stravolgendo in parte gli obiettivi del Jobs Act che mira a dare diritti a chi finora non li ha avuti?
Guardi, quello a tutele crescenti non è l’unico ma resta il contratto centrale, il più incentivato, con cui speriamo di assorbire la stragrande maggioranza dei parasubordinati, dei lavoratori a progetto, delle figure ibride. Il contratto di collaborazione resta come opzione lasciata alla responsabilità della parti sociali, datori di lavoro e sindacati (i co.co.pro. sono regolati da un accordo sindacale del 2013 ndr).
Ma comunque per le aziende resterà più conveniente inquadrare un lavorare con un contratto a progetto.
I co.co.pro non sono incentivati fiscalmente. Questo perché l’intenzione del governo è rendere per le imprese più conveniente assumere a tempo indeterminato che a tempo determinato o a progetto, tramite il rapporto a tutele crescenti e le agevolazioni fiscali, favorendo l’ingresso dei lavoratori precari in lavori più stabili. Inoltre introducendo l’indennizzo per i licenziamenti ingiustificati vogliamo una condivisione del rischio tra lavoratore ed imprenditore. Il Jobs Act ha dunque posto le basi per la trasformazione produttiva del nostro Paese e per il miglioramento delle professionalità.
In che senso?
Faccio una premessa generale. Le economie avanzate competono non solo sull’innovazione e la trasformazione di nuovi prodotti, ma sulla capacità di gestione della tecnologia. Noi abbiamo un enorme bagaglio di competenze e qualità del capitale umano ma dobbiamo ragionare sul mercato del lavoro. Abbiamo depauperato le competenze delle persone, e scaricato il peso della crisi del cambiamento solo su alcuni. L’iniquità di oggi ha a che vedere con la mancanza di riforme. Abbiamo così creato la categoria della para-subordinazione: i quasi-dipendenti o quasi-autonomi, un mezzo milione di italiani con quasi tutele. Tutte persone nella stessa condizione ma in modi diversi. Il ragionamento di fondo è che solo il lavoro stabile e duraturo può consentire al lavoratore di affermare ed “affinare” nel tempo le proprie competenze professionali per garantire lo spostamento dai settori sovradimensionati, come appunto i call center, ad altri dove la domanda di lavoro è in crescita.
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