Cobas – Campagna vaccinale Covid-19: poca trasparenza, molta ipocrisia e tanti inquinamenti

Siamo nel pieno di una recrudescenza del Virus Covid-19 e delle sue varianti. Le curve del contagio, della pressione su ospedali e terapie intensive, e soprattutto dei decessi alternano da settimane timidi accenni di discesa a nuove preoccupanti risalite.  La cosiddetta seconda ondata ha mietuto quasi il doppio di vittime della prima (tutte in aggiunta ai decessi statisticamente attesi, cui si aggiungono le morti per mancata/rinviata assistenza ai portatori delle altre patologie importanti extra-covid) e tutt’ora sono centinaia le persone che ci lasciano ogni giorno. Sempre le stesse: anziane/i e soggetti fragili che, nonostante roboanti dichiarazioni di priorità alla cura, sono tutt’ora pesantemente colpiti e che in molti casi continuano ad essere abbandonati a se stessi.

Il governo Draghi annuncia progetti impegnativi ed assicura una accelerazione della campagna vaccinale che dovrebbe portare in breve (prima dell’estate) a tutelare quasi tutti i soggetti più a rischio ed a dispiegarsi poi sulla intera popolazione italiana, scongiurando l’ipotesi di un altro inverno drammatico.

Ma la realtà è ben diversa, molte regioni sono a un tempo a rischio collasso delle strutture ospedaliere e a rischio blocco della campagna vaccinale per mancanza di rifornimenti.  Le grandi società farmaceutiche, che hanno potuto raggiungere sui vaccini risultati in tempi rapidi grazie a ingentissimi fondi pubblici, mostrano ancora una volta la loro avidità e il loro cinismo:  fanno a gara ad assicurarsi controlli monopolistici, ad imporre contratti semi-segreti e oscurati da pletore di omissis, garantendo costi “contenuti” solo per un arco temporale ristretto. E, contemporaneamente a questi ricatti, vengono periodicamente meno agli impegni di fornitura a suo tempo assicurati, forti del fatto che tanto hanno già incassato enormi vantaggi finanziari dall’effetto annuncio.

Nessun profitto sulla pandemia

Una minaccia collettiva richiede solidarietà, non profitti privati. Ancora una volta il trasferimento di ingenti risorse pubbliche al profitto privato rischia di consentire che tecnologie sanitarie fondamentali – per il presente e per il futuro – siano sempre più appannaggio di ristretti gruppi di potere economico e politico, inasprendo le diseguaglianze e gli squilibri preesistenti. Non si deve consentire alle grande industrie farmaceutiche – ed ai gruppi di potere politico e statale ad esse collegati – di depredare i sistemi di assistenza  sanitaria e sociale: i brevetti devono essere pubblici, la loro efficacia e sicurezza deve potere essere vagliata senza barriere, la possibilità di produrre i vaccini deve essere garantita a tutti i paesi, europei e del mondo.

Per questo abbiamo aderito alla campagna “Nessun profitto sulla pandemia” per inviare alla Commissione Europea la richiesta di legiferare in materia e dichiarare i brevetti bene pubblico e gratuito. L’obiettivo è di un milione di firme da inviare alla UE entro il prossimo giugno per obbligarla a procedere (per firmare la petizione il sito è www.noprofitonpandemic.eu/it).

Nessuna legge del più forte sulla pandemia

Ma i problemi legati allo strapotere delle industrie farmaceutiche non sono i soli. Altre dinamiche hanno condizionato in negativo una situazione già pesante e drammatica. Dopo più di tre mesi dall’inizio della campagna vaccinale i numeri non sono solo bassi, ma fanno emergere un’altra ingiustizia. Fatte salve le priorità al ricevimento del vaccino da parte del personale sanitario e del personale scolastico e di altri settori a rischio di contagio per contatto stretto con pazienti e cittadine/i, sono spuntate innumerevoli corse al sorpasso ed al privilegio della priorità vaccinale, come la lobby dei docenti universitari e dei magistrati, mentre chi non ha alcun santo in paradiso (come i/le cassiere/i dei supermercati o gli/le autisti/e e i/le corrieri  del trasporto merci possono continuare ad aspettare facendosi carico di un rischio quotidiano altissimo).

Peggio ancora un’altra lobby, quella di Confindustria, sta segnando un inquietante punto a suo favore. Quella stessa Confindustria che a marzo 2020 ha contribuito non poco a drammatizzare la situazione pretendendo che le fabbriche continuassero a lavorare come se niente fosse, ritardando per settimane la necessaria chiusura…  quella stessa Confindustria che ha poi ottenuto durante la seconda ondata il via libera a tutte le produzioni manifatturiere  (come se le fabbriche non continuassero ad essere luogo di contagio) cercando di far diventare i Protocolli di Sicurezza foglie di fico procedurali da bypassare nella sostanza, quella stessa Confindustria ora vuole ergersi a “salvatore della Patria” annunciando la piena disponibilità a far diventare le fabbriche luoghi aperti all’inserimento nella campagna vaccinale.

Vaccino in fabbrica? Anche no, grazie. Spesso i padroni parlano chiaro, arrivando a dire sul tema che si sarebbero impegnati a vaccinare i/le “loro dipendenti, familiari compresi” da parte del loro medico competente. Ovvero, da “prima le persone anziane e fragili, prima gli/le esposti/e” a “prima i/le produttive/i, fungibili al profitto ed alle sue esigenze”. Salvo dover mitigare questi concetti in un secondo momento: la deliberazione della Giunta Regionale Lombardia (prima delibera “pilota”, apripista di un protocollo nazionale già annunciato dal Ministro del Lavoro Orlando) assicura il “rispetto delle priorità definite negli atti di indirizzo nazionali e regionali” e che “l’adesione alla campagna vaccinale dei lavoratori è volontaria”. Ma la sostanza non cambia, e non cambiano i tanti rischi di questa operazione, primo fra tutti quello di attribuire agli industriali un ulteriore potere di ricatto e di coercizione nei confronti dei dipendenti, compreso una sorta di jus corrigendi, ovvero: il tuo padrone è così buono di offrirti il vaccino così da essere produttivo al 100%, vuoi mostrarti irriconoscente, irresponsabile, respingendo una opportunità che sfocia nel dovere? E vuoi che aziende così disponibili rinuncino ad avere una forza lavoro vaccinata ed affidabile finché l’ultima/o  anziana/o o fragile sia tutelata/o? Allora non meriti né il lavoro né il vaccino, e devi essere licenziata/o! Questa è, in parole povere, la posizione di molte associazioni datoriali e di consulenti del lavoro in Italia, posizione che dovrà essere arginata con la nostra presenza e con la nostra azione.

Ma non solo. Questa pandemia ha rivelato a tutti i disastri cui ha condotto la politica dei tagli alla sanità pubblica e del trasferimento di risorse alla sanità privata, la destrutturazione  della medicina di territorio a favore di grossi complessi ospedalieri, la riduzione dei medici di base quasi a figure residuali. E invece la lezione data dalla pandemia deve riaprire la strada ad un necessario potenziamento della sanità pubblica, della medicina territoriale di prossimità che conosce i propri assistiti non come numeri ma come persone, con la loro storia e le loro caratteristiche e per questo più capace di essergli vicino e di dargli risposte adeguate. Mediche e medici di base non devono continuare ad essere figure convenzionate col SSN, ma dovrebbero essere formalmente inglobate/i e direttamente assunte/i dalla stessa sanità pubblica.

E invece tutta una serie di determinazioni che si stanno prendendo nel nome di una “guerra contro il virus” e dall’arruolamento di nuovi combattenti (dall’accordo con Confindustria fino al “vaccino à la carte” in farmacia) rischiano di ridare spazio culturale e politico all’appalto ai privati di funzioni e prerogative di salute pubblica che solo un servizio sanitario nazionale rinvigorito e rinnovato sul territorio può assicurare. Ma, appunto: siamo dentro una guerra da combattere come tanti soldatini?

Siamo in guerra e il nemico è il novax?

NO, assolutamente. Siamo in una situazione di emergenza, non in una guerra in cui posizionarci e in cui farci guidare dalla logica dei colonnelli e dei generali. L’unica battaglia che vogliamo continuare a combattere è quella contro la supremazia del profitto contro il lavoro, contro la devastazione sanitaria, ambientale e sociale, qui e altrove. E dobbiamo mantenere lucidità e consapevolezza. Sui vaccini vogliamo essere chiari: siamo coscienti che per ognuno di essi siamo in una fase obbligatoriamente sperimentale (fino al 2023, circa) e che quindi vi possono essere elementi aggiuntivi di incertezza sui possibili effetti collaterali, sulle percentuali di efficacia/copertura nel breve, medio e lungo periodo e sulla possibilità di infezione/trasmissione del virus; tuttavia siamo altrettanto coscienti che la strada (e i tempi) per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge non può prescindere da una campagna vaccinale  adeguata e celere. Alcuni possibili eventi letali dovuti al vaccino sono statisticamente infinitamente più bassi rispetto alla realtà di centinaia di morti al giorno che dobbiamo seppellire e rispetto alla devastazione umana culturale e sociale che la pandemia causa direttamente e indirettamente, fornendo un comodo alibi a politiche contro le persone, in particolare contro gli ultimi. Un rischio calcolato, anche molto inferiore a quello insito in tante terapie farmacologiche e non cui ci sottoponiamo quotidianamente senza troppi pensieri. E anche un atto di responsabilità collettivo cui non vogliamo sottrarci per un assurdo e pregiudiziale sospetto.

Ma questa sorta di dovere “morale e sociale” che ci assumiamo non può comportare l’adesione a campagne od a pratiche di demonizzazione, a rivendicare o ad acconsentire a misure di legge che comportino l’obbligo di sottoporsi a quella che è e resta una iniziativa sperimentale. Sempre per chiarezza: legittimo e doveroso che il personale sanitario che non intende vaccinarsi sia destinato ad altre attività che non siano quelle di assistenza ai/alle pazienti, inaccettabile che venga ritorto e sospeso dallo stipendio. E, per tutti, quella che rimane una scelta libera e consapevole (che noi prendiamo e auspichiamo  sia il più possibile collettiva) non può comportare l’annullamento del diritto costituzionale – indisponibile – della persona ad essere l’unica legittimata a decidere sulla propria salute, né minacciare il diritto costituzionale al lavoro.

In conclusione:

– la campagna vaccinale deve intensificarsi ed estendersi nel pieno rispetto effettivo delle priorità sanitarie e non di quelle economiche. La priorità è portare in salvo nel più breve tempo possibile i soggetti più a rischio per età, per patologia e per fragilità

– deve essere affiancata da una campagna politica e sociale per la gratuità dei vaccini e la pubblicità e disponibilità dei brevetti per  tutte e tutti, in Italia, in Europa, nel mondo

– nessun padrone può sostituirsi né diventare gestore e controllore di campagne e prerogative che debbono appartenere alla sanità pubblica e al Servizio Sanitario Nazionale

– nessuna sospensione di diritti costituzionali può essere condivisa: non siamo in una dittatura sanitaria né accondiscendiamo a sciocchezze od a terrorismi mediatici, ma contrasteremo ogni tentativo di sostituire le ragioni del profitto e del potere politico alla preminenza della salute pubblica e della solidarietà sociale

06 aprile 2021                                              

COBAS LAVORO PRIVATO