Multiservizi: l’ennesima presa in giro sulla pelle dei lavoratori

In data 6 agosto 2025 AGCI Servizi, Confcooperative, Legacoop e Unionservizi-Confapi, insieme alle organizzazioni sindacali Filcams-CGIL, Fisascat-CISL e Uiltrasporti, hanno firmato l’accordo integrativo al rinnovo del CCNL Servizi di Pulizia, Servizi Integrati/Multiservizi del 13 giugno 2025.
Questo accordo contiene le tabelle degli aumenti retributivi previste dall’art. 73 del CCNL, con la sistemazione degli arrotondamenti.

L’aumento complessivo dei minimi contrattuali del 2° livello (il più diffuso nel settore) è di 215,00 euro lordi nell’intero periodo di vigenza 2025-2028. Questi soldi comprendono persino il recupero dell’inflazione arretrata del quadriennio 2021-2024, e saranno spalmati in più tranche secondo le scadenze indicate nella tabella allegata all’accordo.

Cosa significa in pratica?

  • Parliamo di circa 150 euro netti in 4 anni, mentre l’inflazione brucia in pochi mesi qualsiasi piccolo aumento.

  • Al luglio 2025, la paga oraria del 2° livello salirà a 7,76 euro lordi. Siamo ben al di sotto di una soglia di dignità salariale e anche di gran parte delle proposte di salario minimo.

  • In molti casi, questi importi si applicano a contratti part-time involontari, con orari ridotti e spezzettati che non permettono di arrivare a fine mese.

Eppure CGIL, CISL e UIL — che da anni organizzano convegni e campagne sul “lavoro povero” — firmano un contratto che è esso stesso una fabbrica di povertà.
Questo CCNL, nato negli anni ’90 insieme all’ondata di esternalizzazioni, è diventato il grimaldello per non applicare i contratti di settore delle aziende committenti, sostituendoli con uno schema fatto su misura per garantire salari da fame, tutele ridotte e massima flessibilità per le imprese. Più che “multiservizi”, è multisfruttamento.

Gli unici miglioramenti annunciati — come l’aumento del congedo per le vittime di violenza di genere, il minimo di 15 ore per il part-time e qualche clausola di deterrenza contro le clausole elastiche — sono briciole, incapaci di cambiare la condizione materiale di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Per le donne, in particolare, guadagnare 7,80 euro lordi all’ora con contratti a poche ore significa restare intrappolate in una condizione di povertà strutturale, che è il terreno fertile per ogni forma di ricatto e violenza.

Questo rinnovo non solo non combatte il lavoro povero, ma lo consolida, applicando meccanismi di calcolo salariale (come l’indice IPCA-NEI) che escludono gli aumenti dei beni energetici e quindi erodono il valore reale del salario.
Alla faccia di chi chiede il salario minimo in Parlamento: alla prova dei fatti, le stesse sigle confederali firmano accordi che inchiodano i lavoratori a minimi contrattuali ben sotto quella soglia.

Il lavoro povero non è una fatalità né una disgrazia naturale: è il prodotto di scelte politiche e sindacali precise.
Noi non ci rassegniamo. Continueremo a organizzarci nei luoghi di lavoro e fuori, insieme a chi non accetta di abbassare la testa e rivendica salari dignitosi, contratti veri e un futuro senza sfruttamento.

Cobas del lavoro privato