Cobas Cooperative Sociali – La pandemia nel lavoro, il lavoro nella pandemia

Quindici mesi sono passati dall’inizio della pandemia, e sono sotto gli occhi di tutti/e gli effetti nefasti che sta ancora portandosi dietro. In termini di vittime, così come nelle varie articolazioni sociali, economiche e culturali. Il lavoro, ovviamente, ha subito le pesanti trasformazioni che il Covid ha imposto. In alcuni settori (P.A., scuola, commercio), la necessità del distanziamento ha anticipato di molti anni l’utilizzo massiccio dello smartworking, creando di fatto un “nuovo” modello produttivo, ma anche di relazioni. La mediazione conosciuta finora, quella classica novecentesca di corpi materiali interposti per garantire la difesa dei diritti delle classi subalterne, si è indebolita sotto i colpi della recessione economica e delle ristrutturazioni che ne sono susseguite. Nonché della digitalizzazione. Il dominio dell’algoritmo ha investito anche la coscienza e la capacità di resistenza di lavoratori e lavoratrici.

La pandemia nel lavoro sociale

A che punto siamo nel lavoro sociale? Cercheremo di rispondere partendo dalle drastiche misure adottate nel marzo dello scorso anno, con la emanazione di DPCM e soprattutto, con la istituzione del lockdown. La chiusura immediata di quasi tutte le attività del Paese, ha determinato una paralisi della produzione e una contrazione dei consumi, fatta salva la impennata dell’e-commerce e delle piattaforme telematiche. La maggior parte degli sforzi si è concentrata sul lavoro di Cura. Sanitario, evidentemente, e socio-assistenziale. Abbiamo ripetuto fino alla noia quanto le politiche neoliberiste degli ultimi trenta/quarant’anni abbiano danneggiato il Servizio Sanitario Nazionale e i Servizi Sociali. Dati e statistiche incontestabili, al di là di posizioni “ideologiche”. Ciononostante, governi istituzioni sovranazionali ed enti locali continuano imperterriti a rispettare le leggi del Mercato piuttosto che i bisogni della cittadinanza. Il Next Generation EU, da noi artificiosamente ribattezzato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ridefinisce una mappa post-pandemica con gli stessi catastrofici principi che l’hanno preceduta. Fino a quando avremo la Salute alla mercé del profitto, vedremo la forbice delle diseguaglianze sempre più ampia. Una dura lezione impartita dal virus che non abbiamo affatto imparato.

Nel marzo del 2020, i servizi di assistenza alla persona sono stati dichiarati “essenziali”. Giusto, giustissimo, sacrosanto; se non fosse che in quel (drammatico) momento, scarseggiasse ogni sorta di protezione individuale. Guanti, mascherine, igienizzanti, erano davvero merce rara. L’emergenza però, e la naturale generale impreparazione di fronte a un fenomeno di tale portata, hanno giustificato la continuazione di un’attività mentre l’Italia intera si fermava. Al pari delle decennali nefandezze compiute in ambito sanitario, anche nel Terzo Settore affioravano tutte le magagne del “privato sociale”. Gli anni passati a strizzare l’occhio a un progressivo depauperamento del pubblico a vantaggio del privato, da parte di quelle che una volta erano cooperative sociali, hanno rivelato di schianto tutta la loro fragilità. Quello che si considerava (a ragione, poiché testimoniato da numeri e statistiche) un settore in crescita, contro-tendenzialmente rispetto al periodo recessivo iniziato nel 2008 con la “crisi dei sub-prime”, cominciò a mostrare le indiscutibili crepe di un sistema iniquo. In particolar modo, la irragionevolezza di abbandonare alle oscillazioni della finanza i Beni Comuni. E tra questi, la Salute e la Cura dovrebbero occupare i primi posti, ammesso che se ne possano assegnare di ultimi. Pertanto, come ciclicamente da sempre accade nel mondo profit, i costi della più grande crisi dal dopoguerra, ricadono su lavoratori e lavoratrici. Su una forza-lavoro colpevolmente nascosta tra le pieghe del volontariato e del cosiddetto “lavoro invisibile” e altresì incapace di riconoscersi tale per rivendicarne diritti e salario. Intrappolata dunque tra una visione originaria ormai esaurita e l’attuale management aziendale che ricorre agli strumenti tipici della precarietà. Un esempio lampante è stato fornito dall’assistenza scolastica; alla interruzione forzata delle lezioni, ha seguito la disoccupazione. Il ricorso alla DAD, ove possibile, e agli ammortizzatori sociali (altro argomento scabroso) non ha permesso certo la equiparazione al reddito antecedente allo scoppio della pandemia. Soprattutto, ha sferrato un duro colpo alla dignità di migliaia di lavoratori e lavoratrici. Altrettanto, lo si può affermare per alunni e alunne privati/e di un sostegno garantito dalla Costituzione. La musica non cambia, tranne pochissime variazioni sul tema, in altri ambiti dell’intervento sociale. A queste enormi contraddizioni, a queste insopportabili ingiustizie, occorre rivolgere la nostra attenzione e il nostro impegno affinché non ci siano più alibi pretestuosi, sebbene forniti da eventi straordinari come l’irruzione del Covid19, per invocare un presunto ritorno alla normalità.

Quella normalità è il male, non la cura.

Azione, partecipazione, diritti 

La grave emorragia di partecipazione, che ha colpito trasversalmente il corpo sociale, ha contribuito anche ad accelerare i processi di privatizzazione ed esternalizzazione di servizi pubblici, nonché l’indebolimento della classe lavoratrice. Inoltre, il ruolo delle maggiori organizzazioni sindacali (CGIL – CISL – UIL) si è sempre più contraddistinto per una rendita di posizione piuttosto che arginare una evidente offensiva da parte del neoliberismo, riscontrabile a tutti i livelli. Il meccanismo di delega è diventato una piaga alla stregua della precarietà e di tutte le controriforme del lavoro che si sono susseguite a cavallo del Novecento e degli anni Duemila. Il Terzo Settore, d’altro canto, ha anticipato molte delle ristrutturazioni pianificare in ambito profit. Vorremmo dunque che la voce di operatori e operatrici sociali si elevasse al di sopra degli interessi di parte e che si unisse ai bisogni della cittadinanza.  

Con questa logica e con l’imprescindibile scopo di rafforzare la solidarietà, elaboreremo una PIATTAFORMA RIVENDICATIVA come strumento di lotta e proposta. Da discutere, condividere e rilanciare. E, se necessario, da difendere.

Dignità e diritti non sono in vendita.

Cobas Cooperative Sociale