La GDO e le pressioni psicologiche affini al mobbing: come difendersi?

Nella nostra attività sindacale all’interno della grande distribuzione organizzata (GDO) capita, purtroppo sempre più spesso, di imbattersi in condotte vessatorie affini al mobbing, o in esso sfocianti. Non tutti i lavoratori e le lavoratrici sanno però che cosa fare quando divengono oggetto di tali condotte. Alle organizzazioni sindacali arrivano spesso molto tardi queste segnalazioni, spesso a licenziamento già messo in atto, o addirittura in casi ancor più gravi, dopo eventi traumatici. Infatti, queste condotte, dopo aver generato nei lavoratori uno stress psicologico e un danno biologico importanti, rischiano di degenerare in atti autolesionistici, e finanche al suicidio.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare come: “Con il termine mobbing, in assenza di una definizione normativa, si intende normalmente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica ai fini della configurabilità della condotta lesiva di mobbing, da parte del datore di lavoro” (Cons. Stato Sez. VI, 16/04/2015, n. 1945).

Il mobbing si concretizza dunque attraverso una moltitudine di comportamenti e di forme che, a titolo esemplificativo, possono essere: l’emarginazione del soggetto attraverso l’ostilità e la non comunicazione; le continue critiche sull’operato; la diffusione di maldicenze presso i colleghi, al fine di garantirne l’isolamento; l’assegnazione di compiti dequalificanti, o veri e propri demansionamenti di fatto; la compromissione dell’immagine del soggetto davanti ai colleghi, ai clienti, ai superiori.

Appare chiaro ora che l’autore, o gli autori, del mobbing (definiti mobbers) possono essere uno o più colleghi di lavoro ovvero superiori gerarchici, con l’intento di spingere alle dimissioni un collega che è divenuto “scomodo”, e tanto per le più svariate ragioni, per le sue capacità che destano invidia o perché troppo zelante. Capita poi che sia la stessa Azienda a dettare indicazioni mobbizzanti al solo scopo di disfarsi di un dipendente sgradito senza porre in essere le procedure legittime (prima tra tutte il licenziamento).

Questo fenomeno risulta ben presente nella realtà italiana, complice la striminzita offerta lavorativa, che ha creato un habitat congeniale per il proliferarsi di detti fenomeni: in cui i colleghi, pur di non essere a rischio anch’essi di tali pratiche, e per accattivarsi il favore dei superiori, non si tirano indietro dal contribuire all’isolamento del soggetto mobbizzato.

Cosa fare per difendersi?

Innanzitutto è necessario segnalare la condotta subita anche agli organismi sindacali, come pure rivolgersi ai centri anti-mobbing presso le ASL, in modo da poter produrre una documentazione relativa al danno biologico subito. Esiste poi un iter legale e sindacale che può essere intrapreso, a seguito di accertamento evidente di mobbing.

Bisogna poi tener a mente che la ragione principale per cui le aziende mettono in essere tali condotte è che non hanno altri strumenti per licenziare il dipendente che si vuole estromettere. Infatti, in presenza di un contratto a tempo indeterminato, e in mancanza di ragioni oggettive (contestazioni disciplinari gravi, crisi societarie o chiusure di punti vendita ad esempio), è praticamente impossibile licenziare un dipendente solo per sopravvenuta “antipatia”.

L’onere economico poi che l’azienda affronta nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro può essere rilevante, a seconda se il dipendente giunge a tale risoluzione moralmente distrutto da mesi di vessazioni o meno.

Appare chiaro che maggiore sarà lo stress psicologico subito, e minore sarà la riluttanza ad accettare anche cifre basse.

Come organizzazione sindacale che ha come primario interesse la tutela occupazionale, non tollereremo nessuna condotta atta a creare le condizioni per assicurarsi un facile licenziamento. Ma altrettanto denunceremo la svendita dei posti di lavoro, ossia quelle risoluzioni anche apparentemente vantaggiose dal punto di vista economico, ma che non tengono presente la tutela della dignità e della professionalità delle persone coinvolte. Non accetteremo, a ragione di una risoluzione contrattuale, trascorsi sulla presunta antipatia, lentezza, “obesità” che pure purtroppo sono tra le più diffuse accuse mosse alle lavoratrici e ai lavoratori.

Cobas Lavoro Privato – Settore Commercio