Firmato il Contratto Nazionale Federdistribuzione: il sindacato tradisce i lavoratori

I sindacati firmano ancora contro i bisogni dei lavoratori. Una firma che tradisce le aspettative del tempo liberato, dibattito in voga finanche nell’agone politico. Le sigle confederali firmano il contratto nazionale di Federdistribuzione, che conferma e peggiora quello del commercio. E lo fanno alla chetichella, in barba ad ogni minima parvenza di rappresentanza.

Sostanzialmente vengono confermati tutti quegli elementi che hanno reso il contratto del commercio un vero inferno per i lavoratori del settore. E, come se non bastasse, aggiunto qualche peggioramento. Ma vediamo il dettaglio.

Nell’analisi di questo pessimo accordo comincerei da quello che non c’è: 
l’obbligatorietà delle domeniche lavorative e la mancata retribuzione dei primi tre giorni di malattia restano inalterate. Non c’è alcun passo indietro delle parti, tanto che non è stata apportata alcuna modifica alle questioni più sentite e sofferte dalle lavoratrici e dai lavoratori. In pratica è stato copiato e incollato il precedente accordo contrattuale firmato con Confcommercio.

Insomma, la questione del lavoro domenicale è rimasta tale e quale: l’80% dei lavoratori del commercio e della grande distribuzione sono donne e il lavoro nei giorni festivi sta rendendo loro la vita sociale e familiare impossibile, azzerando di fatto i tempi di vita e di cura della famiglia. Appare allora evidente che le questioni sentite dai lavoratori poco importano a chi li dovrebbe rappresentare.

Confermato anche il pesante attacco alla tutela della malattia con un meccanismo progressivo: nei primi tre giorni di ogni malattia è previsto il pagamento al 100% solo per i primi due eventi morbosi dell’anno. Per il 3° evento l’azienda paga solo il 66%, per il 4° solo il 50% e dalla 5° malattia in poi l’azienda “eroga” zero retribuzione per tutti e tre i giorni (sono escluse solo le malattie superiori a 11 giorni). Il risultato, per molti lavoratori, sarà quello di dover essere costretti a lavorare anche se influenzati per non vedersi decurtare una parte del salario e trovarsi in difficoltà con il mutuo, le bollette o la spesa alimentare.

Ma passiamo a quello che nell’intesa c’è, purtroppo; a cominciare dalla parte economica. Una misera una tantum che per Lorsignori dovrebbe coprire anni di vacanza contrattuale e un aumento di soli 24 euro lordi al 4°livello, riparametrato per gli altri livelli, riconosciuto dal mese di dicembre 2018. Insomma, spiccioli.

Questi aumenti verranno vanificati dal mancato surplus derivante dalla prestazione straordinaria. Infatti in tema di flessibilità il CCNL prevede fino a 44 ore settimanali per un massimo di 16 settimane annue. Semplificando, durante i picchi di lavoro l’azienda potrà richiedere il superamento dell’orario stabilito da contratto fino a 44 ore settimanali, per un massimo di 16 settimane. Le ore prestate oltre il normale orario di lavoro non saranno pagate come straordinario ma “concesse” come riduzione di orario nei periodi di minor carico di lavoro. La chiamano flessibilità…

Il nuovo contratto Federdistribuzione recepisce i peggioramenti di tutte le forme di lavoro precario dal contratto nazionale del commercio: dall’apprendistato al contratto a termine. Un esempio su tutti: il rapporto di lavoro a tempo parziale (part time), prevede la possibilità di stipulare contratti della durata di  8 ore settimanali. Un salario da fame per lavoratori che risulteranno allo stesso tempo “occupati” e poveri per l’ISTAT.

L’unica novità sostanziale, che peggiora di molto il già pessimo contratto nazionale del commercio, è la previsione di un protocollo teso ad affrontare gravi e prolungate crisi aziendali attraverso strumenti contrattuali da concordare a livello territoriale o nazionale, che possono prevedere effetti derogatori sulla prestazione lavorativa. Detta così non sembra nulla di che, ma se guardata in prospettiva sta a significare che laddove si presentasse una crisi aziendale (praticamente ovunque di questi tempi), si lascia aperta una finestra per andare in deroga peggiorativa a istituti contrattuali, parti economiche di stipendio e diritti di ogni natura. Insomma, una resa anticipata.

Concludo questa breve analisi con una riflessione amara. Leggendo il testo emerge chiaramente un’enorme attenzione delle parti agli enti bilaterali, ai fondi pensione a all’assistenza sanitaria integrativa. Insomma, le vere fonti economiche che sorreggono le burocrazie dei sindacati confederali. Si tratta in massima parte di soldi che escono dalle tasche dei lavoratori e delle aziende, destinati alla gestione dei cosiddetti “Enti Bilaterali”. Soldi che arrivano alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto, come ben spiegato da questo articolo de “ilfattoquotidiano.it”. Insomma, ormai molto meno della metà delle entrate di queste organizzazioni sindacali arriva dalle quote degli iscritti; tanto basta a spiegare le ragioni del loro disinteresse al consenso convinto dei lavoratori.

Mai e poi mai avrei voluto scrivere di questa resa senza condizioni. Ma già da oggi, con determinazione e con i miei compagni di viaggio, lotterò affinché i milioni di donne e uomini del commercio prendano voce, abbiano una rappresentanza vera e impongano alle controparti il proprio punto di vista.

Un in bocca al lupo a tutti noi!!

Cobas Lavoro Privato