L’Ilva a Mittal Taranto non respira e muore!

L’accordo patrocinato dal ministro Di Maio ricalca quanto già pattuito dall’ex ministro Calenda: le alcune centinaia di esuberi in meno sono dovuti all’aumento della disponibilità economica per gli esodi incentivati e i prepensionamenti (costi a carico dello stato, invarianti per Mittal). E comunque la “piena copertura occupazionale” è tutta da verificare a regime, tra il 2023-25, tra 5-7anni, a riflettori sull’ILVA” spenti e il possesso Mittal sarà in grado di gestire ben altre crisi.

Le Assemblee hanno confermato il SI all’accordo. Per quanto triste, non poteva essere altrimenti visto il ricatto subìto dai lavoratori che in questi anni hanno visto naufragare “la soluzione alternativa agli altiforni-tumori-malattie”, con il tradimento della politica e dei sindacati complici del sistema dominante. Ovviamente tutti compresi, a partire dai firmatari dell’accordo: Fiom, Fim, Uilm, Ugl, Usb.

All’esito del Referendum “scontato a prescindere”, seguirà la firma ufficiale e il subentro nella gestione di Mittal, che si avvarrà di 3 mesi di tempo per selezionare i lavoratori ex ILVA per destinarli nelle 4 società “affiliate” (AncelorMittal Italia Spa, AncelorMittal Italy Tubular Srl , AncelorMittal Italy Maritime Services Srl, AncelorMittal Italy Energy Srl). Queste le soluzioni occupazionali previste:

– Mittal invierà alla gran parte dei lavoratori la “proposta di assunzione” in una delle 4 società costituite di proposito, che saranno “obbligati a firmare per accettazione l’assunzione ex novo”, pena il non essere “più destinatari di ulteriore proposta da parte Mittal in caso di rifiuto (e nell’accordo non è scritto che fine faranno questi eventuali renitenti): chi accetta dovrà firmare una doppia liberatoria “tombale” per ogni pretesa riguardante anche tutto il pregresso sia al Gruppo Mittal  sia ad Ilva;

– coloro che “non riceveranno la proposta di assunzione”, rimarranno dipendenti ILVA, a cui l’Amministrazione Controllata proporrà: 1) di essere impiegati in attività di tutela ambientale-sanitaria, di bonifica-decontaminazione, di assistenza sociale alle comunità; 2) altrimenti, di benificiare della CIG straordinaria fin quando ci sarà l’Amministrazione Controllata (2025).

– coloro che opteranno per “l’esodo incentivato”, dovranno richiedere la risoluzione del rapporto di lavoro in ILVA, cui seguirà” la conciliazione” dove sono previsti 100.000 euro lordi di incentivo (iniziale, che si ridurrà di 5000 euro ogni tre/quattro mesi fin ad arrivare a 15.000 nel 2023) e la immancabile rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa in ogni sede.

– al tempo della Cessazione dell’Amministrazione Controllata ILVA – non prima del 23/8/2023 e non oltre il 30/9/2025 – la Mittal formulerà una proposta di assunzione a coloro: a) non hanno beneficiato di altre misure-opportunità previste dall’accordo; b) non abbiano ricevuto proposta di assunzione da parte delle affiliate Mittal; c) siano alle dipendenze ILVA, dalla data dell’accordo e per tutta l’Amministrazione Controllata.

LA PARTITA NON È FINITA QUI

La Taranto inquinata e ammalata potrà starà ferma? La magistratura ha svolto un lavoro fondamentale, scoperchiando e rinviando a giudizio la cupola clientelare che attraverso l’ILVA uccide e rende infermi i tarantini. Ma alla fine ha prevalso il ricatto occupazionale che grava sulla città succube della monocultura dell’acciaio. Acciaio, che Mittal pretenderà di fare a Taranto alle stesse condizioni delle lande più devastate del 3°-4° mondo. Tanto che Mittal dichiara di “voler portare la produzione a 8 milioni di tonnellate a parità di inquinamento”, una criminalità inaudita anche a fronte della cosiddetta  ”ambientalizzazione” che sulla carta partirà solo nel 2021.

L’Acciaio si può fare altrimenti, eliminando gli altiforni, il coke, i parchi minerari, l’inquinamento ambientale e sanitario. In tutta l’Europa dell’ovest l’Acciaio si fa con i ”Forni Elettrici”, come insegna la Germania che ha completamente risanato la Ruhr, diventata una foresta-giardino da capitale degli altiforni che hanno prodotto acciaio per le due guerre mondiali. È un problema di volontà politica e di “quote acciaio UE” allo stesso tempo, di un prezzo medio Ue che impedisca ai di produrre in dumping e, insieme, va sovvenzionato dalla UE il passaggio dagli altiforni ai forni elettrici, risanando le città e contribuendo ad eliminare il 10% di CO2 climalterante.

Peraltro, la sfida dell’Acciaio si gioca non tanto sulla quantità ma sulla qualità del prodotto. Occorrono ancor più “acciai speciali”, in grado di sfidare il tempo e di rispondere ai requisiti più arditi (industria spaziale, aeronautica, ponti-viadotti e altri), contro l’uso-abuso del cemento, materiale “degradabile e a termine”, come stiamo vedendo con le tragedie del crollo di ponti, viadotti, piloni e altre infrastrutture, tanto da progettare viadotti “per durare 1000 anni”. E con la drastica riduzione della produzione di cemento ci guadagnerà il territorio e l’ecosistema, sconquassato e sconvolto dalle migliaia di cave che depredano la rena ai fiumi, provocando spesso fenomeni alluvionali.

Nulla di tutto questo è stato neanche pensato oggi, il Contratto con Mittal è quasi esclusivamente basato sulla quantità delle produzioni e sull’avere mani libere di continuare ad inquinare e uccidere i tarantini.

Non si tratta solo di promesse avventate disattese, scelte politiche diverse erano e sono possibili. L’Avvocatura dello Stato a cui era stato chiesto un giudizio ha scritto che interessi superiori potevano fermare l’accordo. La tutela della salute dei cittadini non è motivo valido? E che dire della impunità giudiziaria concessa prima attraverso i famosi decreti salva –Ilva e confermata anche adesso in caso di superamento dei limiti previsti per legge? 

Bastano 250 milioni di euro per gli esodi incentivati a chiudere questo accordo? E anche qui: l’età media dei lavoratori è bassa, sui 40, max 50 anni, sono nuove generazioni entrate a causa della fuoriuscita di massa dovuta ai benefici pensionistici sull’amianto: difficile pensare ad un lavoratore accettare un esodo incentivato di 100.000 euro lordo.

Da tempo abbiamo denunciato, anche ben prima dei famosi provvedimenti della magistratura del 2012, quanto fosse obsoleta quell’industria con le conseguenze sulla salute dei lavoratori e dei cittadini. Abbiamo assistito inoltre in questi anni ad una manutenzione assolutamente carente, che ha provocato numerosi morti sul lavoro.

Quando esplose in tutto il suo fragore la vicenda Ilva con il sequestro degli impianti il comitato nato dal basso aveva poche parole d’ordine ma semplici e chiare: diritti, salute, lavoro e reddito. E a fronte della pervicace volontà di proseguire con un tipo di produzione incompatibile con l’ambiente la chiusura dell’Ilva era e rimane l’unica richiesta possibile, avanzata nel 2012 con una grande partecipazione ed un grande protagonismo popolare: altro che nazionalizzazione, quasi che l’Ilva pubblica non abbia a suo tempo generato distruzione e morte alla pari dei successivi subentri degli interessi dei profitti privati.

L’esperienza di quel Comitato popolare che ha fatto tremare il sistema di potere Ilva che ha visto coinvolti presidenti di Regione, di Provincia, sindaci, fino a pezzi della Chiesa, delle Istituzioni dello Stato, delle forze dell’ordine, nonché delle consuete burocrazie sindacali, è stata l’unico elemento che ha fatto rinascere la speranza in questo territorio.  Ma il 2 agosto 2012 e la richiesta corale dei 50.000 tarantini in piazza non può essere considerato da nessuno un accidente, una parentesi limpida tra i fumi del profitto sulla pelle della gente e dei politicanti vecchi e nuovi.

Anche se la delega ai supposti alfieri del cambiamento si è rivelata subito incauta e mal riposta. Anzi, proprio l’accelerazione imposta dal potere nel far imboccare ai neo-governanti l’assoluta continuità col passato nella sopraffazione sui territori e nel ricatto occupazionale sulla popolazione dovrebbe chiarire a molti che l’unica strada possibile è quella di ricostruire dal basso quel movimento con chi sinceramente si è battuto per la chiusura delle produzioni mortifere dell’Ilva ed il reimpiego dei lavoratori nelle bonifiche, senza interessi di orticelli.

COBAS – Confederazione dei Comitati di Base