Basta appalti nella Sanità della Regione Lazio… internalizzare subito!

Servizi CUP–amministrativi–reCUP–centralini. Martedì 8 marzo sciopero generale intero turno. Presidio ore 10 – Ministero della Salute Lungotevere Ripa, 1 – Roma. Il blocco ultradecennale delle assunzioni nella P.A. ha generato un mostro nel Sistema Sanitario Regionale del Lazio! Ogni giorno nelle Aziende sanitarie e ospedaliere della Regione Lazio le principali attività amministrative, essenziali a garantire il regolare e corretto funzionamento del servizio sanitario, sono svolte da personale dipendente da società private e/o da agenzie di lavoro interinale, in grandissima prevalenza femminile, che subisce da sempre una gravissima discriminazione rispetto ai “colleghi” pubblici.

Discriminazione economica. Il personale che opera nei CUP e negli uffici delle ASL e delle aziende ospedaliere svolge mansioni equivalenti a quelle svolte dagli assistenti amministrativi del S.S.N. (impiegati di concetto) e in diversi casi a quelle di collaboratore ammnistrativo (laureati) ma quando assunti da società appaltatrici sono inquadrati al terzo e secondo livello del ccnl multiservizi (impiegati esecutivi alias “fattorini”). A parità di mansioni, il sottoinquadramento comporta un differenza economica negativa di oltre 5 mila euro l’anno. E’ bene precisare che in tutti questi anni la “rapina” delle loro retribuzioni è sempre avvenuta con il consenso e complicità della centrale acquisti della Regione Lazio che nelle gare di appalto ha sempre calcolato il costo del lavoro di questo personale sulla base del costo orario del terzo livello ccnl multiservizi.

Non solo, da decenni alle lavoratrici e ai lavoratori sono imposti esclusivamente rapporti di lavoro con contratti part-time (20 – 25 – 30 ore), che certamente non consentono di condurre una vita decorosa e dignitosa e che assicurano un futuro pensionistico ancora peggiore. Per queste donne e uomini, secondo la Regione Lazio e lo Stato italiano, l’art. 36 della nostra costituzione (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.) è solo carta straccia.

Discriminazione nei diritti. Pur lavorando dentro e per il servizio sanitario della Regione Lazio, fianco a fianco ai “colleghi” pubblici, queste lavoratrici e questi lavoratori sono privati di ogni diritto. Le loro postazioni sono spesso le più fatiscenti, sia in termini di sicurezza che di pulizia. I decenni di lavoro precario svolto per e nelle ASL, non essendo diretto con la P.A. ma mediato tramite le società in appalto e/o interinali, è considerato ZERO ai fini della riserva di posti in eventuali procedure concorsuali. Non sono destinatari di premi né di alcun benefit, pur contribuendo da sempre al corretto funzionamento della sanità pubblica. Durante l’emergenza da Covid-19 il personale ammnistrativo dipendente delle ASL ha potuto svolgere in massima parte il lavoro in smart working, il personale in appalto, invece, è rimasto sempre in prima linea negli uffici, dietro gli sportelli, nei centri di emergenza covid-19, o, in alternativa, è stato sospeso con il Fondo di integrazione salariale. Eppure, il lavoro di queste donne e questi uomini non ha mai ricevuto alcun riconoscimento economico, diversamente da quanto è stato previsto, invece, per le altre figure che hanno operato al loro fianco durante l’emergenza covid-19. Allo stesso modo, il valore della loro salute non è stato considerato meritevole delle stesse attività di prevenzione garantite ai dipendenti del servizio sanitario pubblico più esposti nel contenimento della pandemia.

Finanche con l’ultima legge di bilancio (L. 234/2021, art.1, comma 268, lett. B) e c)) lo Stato italiano ha continuato a discriminarli, quando ha disposto la stabilizzazione e internalizzazione del solo personale precario, con almeno 18 mesi di servizio, assunto durante l’emergenza covid-19 nei ruoli e nelle mansioni sanitarie e socio-sanitarie (selezionato in buona parte tramite avvisi pubblici e manifestazioni di interesse anche per soli titoli o per titoli e colloquio), escludendo dalla stabilizzazione il personale amministrativo nonostante questo abbia svolto per decenni il proprio lavoro in appalto, sottopagato e senza diritti, sempre in prima linea anche in tutte quelle attività necessarie a fronteggiare l’emergenza covid-19, affianco al personale con mansioni sanitarie e socio-sanitarie.

L’internalizzazione di queste donne e questi uomini, oltre ad essere una questione di giustizia ed equità sociale, permetterebbe un notevole risparmio per le casse pubbliche:

Spesa annua per lavoratore in appalto (tempo pieno) nonostante sia sottopagato 43.706 euro Costo personale + margine società appaltatrice + IVA
Costo annuo per un assistente ammnistrativo (tempo pieno) 31.908 euro competenze + oneri + IRAP
 
La forza lavoro operante negli appalti per i servizi CUP, amministrativi e centralini, corrisponde a circa 1500 FTE
Costo annuo complessivo personale appalto esterno 65.599.000 euro
Costo annuo complessivo in caso di internalizzazione 47.862.000 euro
Risparmio annuo per le casse del S.S.R.   17.697.000 euro
     
Un risparmio equivalente si otterrebbe con l’internalizzazione dei servizi ReCUP della Regione

La domanda spontanea, quindi, è quali siano gli interessi occulti che si vuole tutelare nel perseverare con la politica degli appalti.

Negli appalti dei servizi amministrativi della sanità del Lazio la stragrande maggioranza del personale è rappresentato da donne. La scelta di “recintare”, per sempre, queste lavoratrici negli appalti, impedendogli qualsiasi progressione di carriera futura, negando la loro professionalità, sottopagandole e condannandole ad un futuro di sicura indigenza, rappresenta anch’essa una forma di violenza di genere, ancora più subdola di quella fisica, attraverso la quale si vuole perpetuare la visione secondo la quale la donna, pur lavoratrice, può e deve continuare a dipendere economicamente dal marito o dal padre. Per richiedere l’immediata cessazione di tale discriminazione e ingiustizia, in sintonia con la mobilitazione femminista transnazionale che si svolgerà nella giornata dell’8 marzo in numerose città e iniziative, alle ore 10 si terrà il presidio sotto il ministero della Sanità.

Martedì 8 marzo

sciopero generale intero turno

Presidio ore 10 – Ministero della Salute

Lungotevere Ripa, 1 –  Roma

Roma 26 febbraio 2022

Cobas del Lavoro Privato – Roma

ComunicatoSciopero8Marzo2022

Allegati