Il popolo palestinese e SHIMON PERES

Il popolo palestinese resiste perché vuole vivere

Fayed Badawi è il portavoce ufficiale per l’Europa del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. In un’intervista concessa ad Avante!, ha sottolineato che solo l’unità delle forze della sinistra palestinese ed araba e l’intensificazione della resistenza popolare potranno porre fine all’occupazione israeliana e conquistare l’indipendenza della loro patria e l’emancipazione del proprio popolo. Da molto tempo Fayez Badawi partecipa alla Festa di Avante! in qualità di rappresentante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ma è la prima volta che è responsabile di un proprio padiglione nello Spazio Internazionale, che ha permesso a lui e ai compagni che lo accompagnavano, di contattare migliaia di persone.

Come valuta il FPLP l’attuale situazione dell’occupazione sionista della Palestina?

Prima di iniziare a rispondere a questa domanda, mi farebbe piacere inviare un saluto al popolo portoghese per la sua costante solidarietà con la Palestina e, attraverso il Partito Comunista Portoghese, un partito fratello, vorrei manifestare il mio affetto e il sostegno a questo grande popolo, il popolo di Aprile.

La situazione della Palestina, come quella di tutti gli altri paesi, è legata all’attuale fase di crisi del capitalismo, che ricorre alla guerra e attacca i lavoratori e i più poveri, come è evidente nell’UE con le cosiddette politiche di austerità. Nel caso concreto della Palestina, la situazione è abbastanza complicata a causa dell’esistenza dello Stato fascista di Israele che, è bene ricordare, è una costruzione del capitale realizzata da coloni provenienti dall’Europa. La vita del mio popolo è realmente drammatica, a tutti i livelli.

Puoi specificare?

Come è ben noto, il mio popolo è disperso dal 1948. Ci sono migliaia di rifugiati in Siria, Giordania e Libano, molti dei quali vivono in condizioni drammatiche. In Siria, dove i rifugiati palestinesi erano trattati esattamente come i siriani e avevano gli stessi diritti all’istruzione e alla sanità, oggi soffrono proprio ciò che soffre il popolo siriano: molti sono ancora una volta i rifugiati a causa della guerra che imperversa nel paese, che non è una guerra civile, ma un’aggressione dell’imperialismo sostenuta dai suoi lacchè del cosiddetto “Stato Islamico” e di Al Qaeda.

Ci sono anche quelli che sono chiamati “arabi israeliani”, che in verità sono palestinesi, quelli che vivono sotto occupazione in Cisgiordania e quelli che sono confinati nel maggiore campo di concentramento della storia, la Striscia di Gaza. E ci sono ancora la fame, l’accerchiamento, le persecuzioni… E’ una situazione inumana, ma il mio popolo resiste perché vuole vivere.

Ciò che i palestinesi vogliono è una pace vera e questo si scontra con il comportamento e l’esistenza di Israele. A questo proposito, voglio condannare – non criticare, ma condannare! – la politica dell’Unione Europea, che asseconda lo Stato di Israele, nonostante tutte le violazioni e le violenze che esso esercita contro la Palestina e il suo popolo. Ma posso garantire che resisteremo fino alla fine!

Come ha messo in evidenza il vostro padiglione alla Festa, la questione dei prigionieri è componente importante dell’attività del FPLP. Qual è la situazione dei prigionieri palestinesi in Israele e che prospettive esistono per la loro liberazione?

La situazione dei prigionieri è drammatica. Sono trattati peggio degli animali, poiché non hanno diritto a nulla, e sono soggetti ad arresti amministrativi, a torture e a situazioni di isolamento prolungato. Israele applica metodi fascisti, come la possibilità di condannare un bambino a 20 anni di prigione per avere lanciato pietre e di detenere amministrativamente qualsiasi persona con qualsiasi pretesto.

Ad esempio, Bilal Kayed è un giovane di 35 anni, che è in carcere da 20, e che ha avuto la forza di fare uno sciopero della fame di 71 giorni, a cui hanno aderito altri compagni. Il suo motto era “vittoria o morte” e ha vinto! Oggi non si trova più in isolamento e riceve visite dei familiari, il che è una conquista.

Il FPLP inizierà una campagna di appoggio ai prigionieri e per chiedere la loro liberazione, per la quale chiede il sostegno dei partiti comunisti e di sinistra. Colgo l’occasione per ringraziare di cuore la presa di posizione del Partito Comunista Portoghese, che ha denunciato al Parlamento Europeo la situazione del nostro compagno Bilal Kayed e degli altri prigionieri palestinesi.

Negli ultimi anni, si è ampliato il riconoscimento della Palestina da parte di vari paesi e organizzazioni internazionali, come l’UNESCO e la stessa ONU, ed essa oggi ha lo status di osservatore non membro. Questo fatto ha avuto un impatto positivo sulla vita quotidiana dei palestinesi?

Il maggior successo, compagno, è il fatto di avere resistito. E’ l’unico vero successo. Nonostante tutta la barbarie, viviamo e resistiamo. Viviamo in esilio, sotto l’occupazione, con la fame, nella miseria, ma resistiamo come popolo e riusciamo a proteggere la nostra cultura, la nostra lingua e la nostra identità. E questo è molto importante.

Generazione dopo generazione, il nostro popolo continua ad essere geloso dei suoi diritti, i nostri bambini e i nostri giovani si impegnano ogni giorno di più nella causa del loro popolo per il diritto a ritornare nella propria patria libera. Non ci sarà pace senza il ritorno dei rifugiati palestinesi nella propria terra. Noi abbiamo una soluzione giusta: uno Stato laico e democratico in tutto il territorio della Palestina per tutti quanti vi desiderino vivere in pace.

Quale percorso indica il FPLP per raggiungere l’indipendenza della Palestina?

Il primo punto essenziale per noi è il recupero dell’Organizzazione per la Liberazione ella Palestina (OLP), che è stata sequestrata dalla destra riunita nell’Autorità Nazionale Palestinese che, ricordiamo, è una creazione degli Accordi di Oslo [che il FPLP non ha mai accettato] e non rappresenta gli interessi del popolo. L’Autorità Nazionale Palestinese è stata creata proprio per sostituire l’OLP.

Una seconda questione molto importante riguarda la necessità di raggiungere l’unità del popolo palestinese, il che significa che Hamas e Fatah dovrebbero mettere da parte le loro divergenze e sforzarsi di applicare un programma comune di difesa del nostro popolo. Siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo per raggiungere punti di convergenza volti all’unità nazionale contro l’occupazione.

Quali sono questi punti?

Questioni molto oggettive, ma essenziali, riguardanti il modo con cui si svolgono le elezioni, di come organizziamo la resistenza, di come scateniamo la sollevazione popolare. Il FPLP ha anche l’intenzione di lavorare per l’unità della sinistra palestinese, araba e mondiale. Se non esistono la solidarietà e la collaborazione internazionale siamo tutti perduti, nel mio paese ma anche in America Latina e in Europa.

Ma ho fiducia che la vittoria finale sarà nostra. Come il Vietnam ha sconfitto gli Stati Uniti e l’Algeria si è liberata dal giogo coloniale francese, anche il popolo della Palestina sarà in grado di liberarsi, attraverso la solidariet�, il boicottaggio e la propria resistenza.


Shimon Peres: il criminale di guerra israeliano del quale l’occidente ha dimenticato le vittime
Agenzia INFOPAL  30/9/2016 ( LINK ALL’ARTICOLO )

Peres era nato nella moderna Bielorussia nel 1923 e la sua famiglia si era trasferita in Palestina negli anni ’30. Da ragazzo si arruolò nella Haganah, la milizia principalmente responsabile della pulizia etnica dei villaggi palestinesi negli anni 1947-’49, durante la Nakba.

Nonostante il violento dislocamento dei Palestinesi sia un argomento da record storico, Peres ha sempre insistito sul fatto che le forze sioniste “hanno difeso la purezza delle armi” durante la costituzione dello stato di Israele. In effetti egli ha sempre ritenuto che prima che esistesse Israele “qui non vi era nulla”.

Per oltre settant’anni Peres è stato primo ministro (per due volte) e presidente, anche se in realtà non ha mai vinto una elezione nazionale in modo perentorio. E’ stato membro di governo per 12 volte ed ha avuto incarichi presso i ministeri della difesa, degli esteri e delle finanze.

Forse in occidente è meglio conosciuto per il ruolo che ebbe nei negoziati che portarono agli accordi di Oslo del 1993 e che gli hanno permesso di vincere, assieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, il Premio Nobel per la Pace.

Ma fino ai giorni nostri per i Palestinesi e per i loro vicini del Medio Oriente, i ricordi di Peres sono molto differenti dalla reputazione che si è guadagnato in occidente come di una “colomba instancabile”. L’elenco che segue è senza dubbio un riassunto comprensivo di tutto il lavoro di Peres al servizio del colonialismo e dell’apartheid.

Armi nucleari

Tra il 1953 ed il 1965 Peres ha lavorato prima come direttore generale del ministero della difesa israeliano e poi come vice-ministro della difesa. A causa delle sue responsabilità in quel momento, Peres è stato descritto come “un architetto del programma degli armamenti nucleari di Israele” che, fino ai giorni nostri, “resta al di fuori del controllo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA)”.

Nel 1975, come hanno rivelato informazioni segrete dell’epoca, Peres ha incontrato il ministro della difesa sudafricano PW Botha e gli “ha offerto di vendere testate nucleari al regime dell’apartheid”. Nel 1986 Peres autorizzò l’operazione del Mossad che permise il rapimento della spia nucleare Mordechai Vananu a Roma.

Colpire i cittadini palestinesi

Peres ha avuto un ruolo chiave nel regime militare imposto ai cittadini palestinesi fin dal 1966, sotto il quale le autorità compirono furti di terreni in grande quantità e dislocamento di persone.

Uno degli strumenti fu l’articolo 25 che permetteva che un territorio palestinese fosse dichiarato zona militare chiusa. Ai loro proprietari veniva vietato l’accesso, il terreno veniva quindi confiscato come “non coltivato”. Peres ha lodato l’articolo 25 definendolo come un mezzo per “continuare direttamente la lotta per le colonie ebraiche e per l’immigrazione degli ebrei”.

Un’altra delle responsabilità di Peres nell’attività come direttore generale del ministero della difesa fu di “giudaizzare” la Galilea, vale a dire di attuare politiche mirate alla riduzionedella proporzione di abitanti palestinesi rispetto a quelli ebrei in quella regione.

Nel 2005, come vice premier nel governo di Ariel Sharon, Peres rinnovò il suo attacco sui cittadini palestinesi con piani che incoraggiavano gli ebrei israeliani a spostarsi in Galilea. Il suo piano di “sviluppo” ha riguardato 104 comunità, cento delle quali comunità ebraiche.

Nello stesso anno, durante conversazioni segrete avute con funzionari statunitensi, Peres sosteneva che Israele aveva “perso un milione di dunams [1000 km quadrati] nel territorio del Negev a favore dei Beduini”, aggiungendo che lo “sviluppo” del Negev e della Galilea avrebbe potuto “alleviare ciò che [egli] definiva una minaccia demografica”.

Supporto alle colonie illegali in Cisgiordania

Mentre il progetto israeliano delle colonie in Cisgiordania ha finito per essere sempre associato soprattutto col Likud e con altri partiti nazionalisti di estrema destra, è invece stato il partito laburista che ha dato l’avvio alla colonizzazione dei territori palestinesi appena conquistati – e Peres ne è stato un partecipante entusiasta.

Durante il mandato di Peres come ministro della difesa, dal 1974 al 1977, il governo di Rabin ha fondato un discreto numero di colonie-chiave in Cisgiordania, compresa Ofra, ampie parti delle quali sono state costruite su terreni confiscati a proprietari privati palestinesi.

Avendo avuto un ruolo chiave all’inizio dell’impresa delle colonie, negli anni più recenti Peres è intervenuto per minare quasiasi tipo di misura, non importa quanto di poco conto, che sanzionasse le colonie illegali – sempre, ovviamente, in nome della protezione dei “negoziati di pace”.

Il massacro di Qana

Con l’incarico di primo ministro nel 1996, Peres ordinò e supervisionò l’”Operazione Furore” durante la quale le forze armate israeliane uccisero 154 civili in Libano e ne ferirono altri 351. L’operazione, ritenuta da molti come una dimostrazione di forza prima delle elezioni, ha visto i civili libanesi colpiti intenzionalmente.

Secondo il sito web ufficiale israeliano della Air Force (quello in ebraico, non in inglese), l’operazione ha compreso “bombardamenti massicci dei villaggi shiiti nel sud del Libano allo scopo di provocare un flusso di civili verso nord, in direzione di Beirut, in modo tale da fare pressione sulla Siria e sul Libano perchè tenessero a freno Hezbollah.”.

L’incidente più noto di tutta l’operazione è stato il massacro di Qana, durante il quale Israele ha bombardato un campogestito dalle Nazioni Unite, uccidendo 106 civili che si erano rifugiati all’interno. Un rapporto dell’ONU ha dichiarato che, contrariamente a quanto smentito da Israele, è “improbabile” che il bombardamento “sia il risultato di errori tecnici e/o procedurali”.

In seguito gli artiglieri hanno dichiarato alla televisione israeliana che non avevano alcun rimorso per il massacro compiuto, dato che i morti erano “soltanto un gruppo di arabi”. Quanto a Peres, anche lui aveva la coscienza pulita: “Tutto è stato fatto secondo logica ed in modo responsabile”, ha dichiarato, “Io sono in pace con me stesso”.

Gaza – difesa del blocco e delle brutalità

Negli ultimi dieci anni, Peres è divenuto uno degli ambasciatori israeliani a livello globale più importanti, mentre la Striscia di Gaza ha subito un assedio devastante e tre aggressioni disastrose. Nonostante l’indignazione mondiale per queste politiche, Peres ha sempre e costantemente appoggiato le punizioni collettive e le brutalità militari.

Nel gennaio 2009, ad esempio, nonostante le richieste delle “Organizzazione israeliane per i diritti umani… perchè ‘Operazione Piombo Fusò venisse fermata”, Peres parlò di “solidarietà nazionale dietro l’operazione militare” come “l’ora migliore di Israele”. Secondo Peres, scopo dell’aggressione “era provocare un grosso colpo alla popolazione di Gaza in modo da far perdere loro la voglia di colpire Israele”.

Durante l’”Operazione ‘Pilastro della Difesa’” del novembre 2012, Peres “si prende il compito di migliorare le relazioni pubbliche di Israele, raccontando il resoconto israeliano ai leader del mondo”, con le parole di Ynetnews. Alla vigilia dell’offensiva israeliana, “Peres aveva avvisato Hamas che se avesse voluto una vita normale per la popolazione di Gaza, avrebbe dovuto smettere di lanciare razzi contro Israele”.

Nel 2014, durante un bombardamento su Gaza senza precedenti, Peres si è impegnato ancora una volta per cancellare i crimini di guerra. Dopo che le forze israeliane avevano ucciso quattro bambini mentre giocavano su una spiaggia, Peres sapeva di chi era stata la colpa – dei Palestinesi: “Era una zona che noi avevamo avvisato sarebbe stata bombardata”, ha affermato. “E sfortunatamente non hanno fatto rientrare i bambini”.

L’assedio soffocante, condannato a livello internazionale come forma di punizione collettiva, che è vietata, è stato difeso anche da Peres – e precisamente per il fatto che si tratta di una punizione collettiva. Come diceva Peres nel 2014: “Se Gaza cessa il fuoco, non vi sarà bisogno di un assedio”.

L’appoggio di Peres per le punizione collettive si è allargato anche all’Iran. Nel 2012, commentando sul fatto che sei milioni di iraniani sofferenti di cancro non potevano avere le terapie necessarie a causa delle sanzioni, Peres disse: “Se vogliono tornare ad una vita normale, che allora diventino normali”.

Impenitente fino alla fine

Peres è sempre stato chiaro a proposito dell’obiettivo di un trattato di pace con i Palestinesi. Come ha detto nel 2014: “La priorità è preservare Israele come stato ebraico. Questo è il nostro obiettivo principale, ed è ciò per cui stiamo lottando”. L’anno scorso ha ribadito queste sue idee durante un’intervista con AP, affermando: “Israele dovrebbe implementare la soluzione dei due stati per i suoi propri interessi”, in modo da non “perdere la nostra maggioranza [ebraica]”.

Questo ricorda ciò che ha portato all’appoggio dei laburisti agli Accordi di Oslo. Rabin, parlando davanti alla Knesset non molto tempo prima di essere assassinato nel 1995, fu chiaro nel dire che quel che Israele cercava con gli accordi di Oslo era una “entità” palestinese che volesse essere “un pò meno di uno stato”. Gerusalemme sarebbe stata la capitale indivisa di Israele, le colonie chiave sarebbero state annesse ed Israele sarebbe rimasto nella Valle del Giordano.

Qualche anno fa Peres descriveva i Palestinesi come “vittime di se stessi”. Proseguendo: “Essi vittimizzano se stessi. Sono vittime dei loro stessi errori inutilmente”. Questa crudele accondiscendenza era la caratteristica di un uomo per cui la parola “pace” ha sempre e solo significato pacificazione coloniale.

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