La Corte di Cassazione (con sent.n. 22636 2025) ha recentemente sancito come il lavoratore demansionato abbia diritto al risarcimento per tutte le voci retributive che lo riguardavano, anche in riferimento alle voci accessorie dello stipendio, relative alla modalità di svolgimento del servizio.
Nel caso specifico, un lavoratore adibito per molti anni al turno notturno era stato spostato dalla propria azienda in quello diurno, non solo cambiando le mansioni specifiche, ma anche cancellando la relativa indennità legata all’orario svolto.
Il lavoratore si era rivolto ai giudici per impugnare la decisione unilaterale del datore.
Nei primi due gradi di giudizio era stato riconosciuto il demansionamento, senza però alcun risarcimento dovuto al cambio di orario lavorativo.
La Cassazione ha invece ribaltato le sentenze precedenti, confermando la sussistenza del demansionamento e la legittimità del riconoscimento dei danni biologici e professionali, rilevando come la Corte territoriale avesse erroneamente trascurato le prove del dipendente circa la perdita delle maggiorazioni notturne, fino ad allora percepite per cinque anni continuativi.
La questione non riguarda l’esistenza di un “diritto acquisito” a essere sempre impiegato di notte, bensì il dato fattuale che, per diversi anni, il lavoratore aveva effettivamente prestato la propria attività nel turno notturno percependo regolarmente le relative indennità.
Con l’assegnazione a mansioni inferiori e al turno diurno, egli aveva perso tale trattamento economico, configurando così un danno patrimoniale diretto e immediato ai sensi dell’art. 1223 c.c.
Pertanto, in presenza di un accertato demansionamento, la valutazione delle conseguenze economiche deve tener conto:
- sia della dequalificazione e dei riflessi sulla professionalità, che
- delle concrete perdite subite in relazione al trattamento economico già consolidato nel tempo.
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